La questione è questa: scrivere su di un lavoro femminile da parte di un uomo corrisponde a quella che gli antichi latini chiamavano personata uox, ovverosia significa parlare attraverso la persona, che nel mondo antico corrispondeva alla maschera, che l’attore tragico o comico si metteva sul viso per interpretare una parte. Nel qual caso la parte è quella femminile; insomma ogni uomo che parla di un “fare” femminile parla sempre derrière le rideau, dietro un palcoscenico di cartapesta, e alla fine si tratta di accettarne le convenzioni.
Contrasto –non equivoco- che appare soprattutto in un caso quale il design, che parrebbe per certe sue geometriche complessita’, a torto, sempre roccaforte maschile.

Per la lampada che si chiama “kissimu 3, bisognerebbe tener presente innanzi tutto che si tratta di un oggetto creato da una donna, e dunque chi ne scrive è una personata uox, e inoltre è anche un oggetto d’arredamento, geometrico e sostanzialmente asimmetrico realizzato in più versioni le quali sono tutte prodotte in serie.

La lampada “kissimu 3″ in questione poi possiede diverse “declinazioni”, “kissimu 1”, “kissimu 2″, etc. insomma esistono delle “varianti”. Queste varianti sono date dalle possibilità che ha l’oggetto in questione di trasformarsi, di mutare (come molti altri oggetti dell’atelier di Aliki) a seconda dell’umore del suo proprietario, o fruitore. Lo si può manipolare (tema ricorrente) anche da parte di chi lo acquista, anche dopo essere stato realizzato. Insomma, è un “come tu mi vuoi” questa lampada che funziona sempre, come le altre dell’atelier, con un sistema illuminativo di “diodi”.

Sulla qualità della luce di queste lampadine a basso consumo mi verrebbe da spendere due parole: infatti è una luce che, a differenza di quella fredda del neon, non altera (beninteso che ogni luce non solare esegue una propria alterazione) il colori di quel che circonda, e benché all’apparenza fredda, non è mai “glaciale”. E poi si alimenta di una corrente a basso voltaggio; espediente che permette di ridurre il dispendio energetico, e poi probabilmente crea nella mente di chi sa questo, la non sgradevole sensazione che la lampadina non possieda la capacità di “fulminare”.

Oltre la digressione, questo tipo di lampada, nella sua sostanziale “informità” strutturale, sembra essere, oltre la sua funzione di “illuminatrice”, anche un oggetto. Il che significa ribaltare la “funzione” (la luce) in favore del “funzionante” (l’impalcatura, ovverossia l’ “oggetto di design”, che riveste la semplice lampadina).

Ruben Garbellini