Aliki non rifiuta affatto questi ultimi cinquant’anni di ritrovati tecnologici. Pare quest’ultimo un discorso scontato ma così non è, perché per millenni si sono utilizzati legno, pietra, metallo al più e nei più fortuiti casi. Materiali quali le resine sintetiche, il plexiglas, l’alluminio, il silicone, la vetroresina, le plastiche, ormai talmente inglobate nella nostra vita da non essere più riconoscibili come parte “altra”, non sono affatto parte della nostra storia se non da meno di mezzo secolo. Per cui, considerare l’inevitabile amalgama (un’altra mutazione) che designers, architetti e artisti hanno saputo creare o dovuto subire non è affatto poca cosa. Tanto più che la velocità di frana che ha assunto la moderna “esistenza”, pure nei suoi differenti o quotidiani aspetti, non permette più antiche, pur tuttavia amatissime, disquisizioni sul bello e sulle sue categorie. China pericolosa, questa, che può allungarsi per non più ritornare.

Queste brevi note accennano perciò all’idea di “amalgama”, di quasi contaminazione, che sottende alcuni oggetti a circuiti stampati, diodi dello studio/laboratorio di Aliki Polydor. L’idea stessa di mutazione è presente in un luogo fisico, stesso laboratorio /studio, dove tanto si realizzano manualmente delle “cose”, tanto le si sottopone al giudizio e all’eventuale scelta del pubblico. Si tratta di un piccola catena produttiva che non viene spezzata, ma costituisce una quotidianità artigianale: un altro amalgama tra le materie tecnologiche più “nuove”come l’implementazione della tecnologia a LED e la concezione manuale dell’assemblaggio.Si chiama la “customizazione”.

Ragionamento quest’ultimo che fa rimbalzare il pensiero verso il secondo polo, o aspetto, generatore degli “oggetti”(non definibili in altro modo, siano essi funzionali o più decorativi) di Aliki: il mondo della filosofia. Una cultura filosofica, nel caso di Aliki Polydor, anch’essa “mescolata”, che da un fulcro di τεκνή occidentale continua a rivolgersi verso la melancolia della dimensione metafisica dell’Oriente, sentita quasi come una meta necessaria da raggiungere. Nasce da questo la  lampada-profumiera dedicata al leggendario filosofo indiano Patanjali?

2 febbraio 2008
Ruben Garbellini